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Rapporto sull'industria alimentare in Italia

Ottobre 2020

La crisi in atto è di portata ben maggiore da quella provocata dal crollo finanziario dell'autunno 2008, con attese di riduzione di PIL, export e produzione industriale più imponenti rispetto a quanto registrato una decina di anni fa.  D'altro canto, proprio perché innescata da fattori di natura extraeconomica, l'attuale crisi potrebbe trovare un'uscita più rapida, almeno sotto l'aspetto commerciale e produttivo, di quella targata "Lehman Brothers", che purtroppo non ha ancora estinto i suoi effetti. Non si può dimenticare, infatti, che il PIL italiano (a prezzi costanti) ha chiuso nel 2019 ancora sotto il livello del 2007, con una capacità produttiva che permane tuttora di 20 punti rispetto al periodo pre-crisi. 

Secondo le stime elaborate dall'ISMEA, sul fronte interno, la crisi Covid-19 impatterà sul settore agroalimentare attraverso un calo dei consumi extra-domestici di circa il 39%, per un ammontare che si aggirerebbe, quindi, attorno ai 34 miliardi di euro. Questo dato non tiene conto di altri fattori di incertezza legati alla recessione economica che potrebbero influenzare la domanda delle famiglie, né degli effetti dei provvedimenti di sostegno adottati dal governo. Se si considera l'impatto d'insieme sul totale della spesa agroalimentare delle famiglie, tendendo conto dell'effetto in parte compensativo dei consumi tra le mura domestiche, la perdita potrebbe aggirarsi attorno al -10% per il 2020, pari a un valore di circa 24 miliardi di euro.

Al fine di offrire una valutazione della capacità di tenuta dell'industria alimentare italiana, anche in relazione all'appartenenza alle diverse aree territoriali e ai differenti comparti, sono state analizzate le performance e la struttura economico-finanziaria di un campione di aziende del settore costituito da 6.400 imprese con bilancio presenti nella banca dati Aida BvD.

L'analisi condotta sui bilanci conferma il trend positivo del settore agroalimentare italiano nel quinquennio 2014-2018, con il fatturato del campione che è passato da 81,2 miliardi ai 93,4 miliardi di euro (+15%) a valori correnti. Il confronto territoriale evidenzia una crescita del fatturato differenziata, nel quinquennio, favorevole alle imprese del Mezzogiorno (+17,1%) rispetto a quelle del Centro-Nord (+14,7%).
La valutazione del grado di robustezza e di capacità di reazione del sistema produttivo agroalimentare italiano è stata effettuata mediante l'analisi di alcuni indicatori quali: indicatori di redditività (ROI e ROE), solvibilità (indice di liquidità e indice di disponibilità) e solidità finanziaria (grado di Indipendenza da terzi e Indice di copertura globale delle immobilizzazioni) da cui è stato calcolato un indicatore sintetico. 
L'indicatore sintetico, elaborato da Ismea, ha consentito di classificare le imprese del campione in otto gruppi riconducibili, a loro volta, a tre macro-gruppi caratterizzati da un diverso livello di performance e da differenti problematiche: 

  • nocciolo duro, ossia un'ampia area produttiva dell'impresa alimentare italiana (42%) che per caratteristiche di redditività, solidità e liquidità garantisce una notevole capacità di tenuta anche in situazioni di crisi shock come quella cui stiamo assistendo;
  • la terra di mezzo, pari al 36% del campione che presenta qualche problema di liquidità e/o di esposizione debitoria che potrebbe degenerare a seguito della situazione di stress, conseguente agli eventi relativi alla crisi Covid-19. 
  • il ventre molle del sistema agroalimentare italiano, corrispondente al 21% del campione, che evidenzia un alto livello di vulnerabilità e che potrà essere colpito in maniera più rilevante dalle difficoltà conseguenti alla crisi Covid-19.